Giovedì 21 marzo

L’ascolto della Parola è fonte di vita: è uno dei messaggi che accomunano le letture di oggi. Dio offre ad Abramo la sua alleanza e insieme la terra di Canaan, e gli chiede come risposta l’osservanza di questo patto. La storia d’Israele confermerà che ciò che Dio ha sempre domandato al suo popolo era l’adesione del cuore a una relazione di dialogo confidente con il Signore.
Il Vangelo ribadisce questo dono da parte di Dio: in Gesù, l’alleanza diventa l’accoglienza della Sua persona, l’ascolto della Sua parola che è ciò che il Figlio stesso riceve dal Padre. Se entriamo in questa relazione, la Parola che passa dal Padre al Figlio e ci raggiunge nel cuore diventa per noi sorgente di vita che non si esaurisce in questa dimensione terrena ma continua per l’eternità.

Gen 17,3-9; Gv 8,51-59

Un commento

  1. Gesù rivela la sua natura divina procedendo con gradualità: nelle parole, nei mezzi, nel numero e qualità del pubblico presente. Avvicinandosi alla conclusione della sua permanenza su questa terra il Redentore dichiara la sua natura divina con parole via via più esplicite, la manifesta con miracoli più clamorosi, senza porsi dinanzi a un pubblico ridotto nel numero o di particolare qualità. Tutto questo si fa particolarmente evidente nei passi del Vangelo di S. Giovanni che la liturgia propone in questi giorni. Le dichiarazioni della sua identità naturale con il Padre sono chiare (non si limita più a dire che Lui fa la volontà del Padre), i miracoli diventano clamorosi, culminando con la resurrezione di Lazzaro, la sede è in prevalenza il tempio stesso, alla presenza di chiunque (popolani, Farisei, scribi, sacerdoti, oltre, naturalmente, ai suoi discepoli o parte di essi). Tutto ciò fa breccia in alcuni, non convince altri, anzi, spesso li rinforza nel loro rifiuto. Il vertice della sua potenza divina è stato giustamente visto nella resurrezione di Lazzaro, ma il vertice della proclamazione della sua divinità è nel versetto 58 del cap. 8: “In verità, in verità vi dico, prima che fosse Abramo, io sono”. Non “io già c’ero” o simili, ma “io sono”: è l’eterno presente dell’eternità, ma soprattutto la identità di Lui con l’Essere unico e trascendente, lo stesso che nell’Antico Testamento si era rivelato nella fondamentale teofania del roveto ardente (Esodo, 3, 14).

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