Domenica 12 ottobre

Senza sapere bene perché, in alcuni momenti della vita ci sembra di morire lentamente. La vita si sgretola e non riusciamo a stare dietro ai pezzi che si perdono. Facciamo fatica a trovare una ragione per continuare a trascinare avanti i brandelli della nostra esistenza. Sono quei momenti della vita in cui ci sentiamo messi da parte, isolati, come se gli altri avessero paura di contaminarsi con questa fatica di vivere. Nel linguaggio della Bibbia questa situazione esistenziale è rappresentata dalla figura del lebbroso, che fin dall’Antico Testamento attraversa le pagine della storia d’Israele.
È infatti anche la condizione di Naamàn il Siro, un funzionario del Re di Aram. Si tratta di un uomo che non appartiene al popolo di Israele, ma che viene a sapere che in quel paese c’è un profeta, Eliseo, che può guarirlo dalla sua malattia. Probabilmente non si trattava di vera e propria lebbra, ma di una bianchezza della pelle, altrimenti Naamàn sarebbe stato escluso dalle relazioni sociali e non avrebbe potuto svolgere il suo lavoro. Naamàn vuole essere guarito più che altro da una contraddizione che si porta addosso e che non gli permette di vivere pienamente la sua vita: la radice del suo nome (NM) rimanda alla parola bellezza, Naamàn dunque vive una vita che non è bella come dovrebbe! 
Il cammino di guarigione però non sempre avviene secondo le modalità che noi ci aspettiamo: Naamàn, da funzionario reale, si aspetta di essere sottoposto a prodigi singolari ed è pronto a ripagare adeguatamente il privilegio che pensa di meritare. Eliseo invece gli manda a dire di bagnarsi semplicemente nel Giordano sette volte, forse per insegnargli che ciò che guarisce è la fede, non la materia!

Don Gaetano Piccolo

Lc 17,11-19

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