Domenica 5 ottobre

Fabio Volo nel suo programma “il volo del mattino” del 22 settembre, parlando del genocidio a Gaza dice: “stanno normalizzando la brutalità!” (consiglio di ascoltarlo su internet tra le pillole del programma). Quante cose abbiamo normalizzato e a volte senza nemmeno accorgercene: l’oggettivazione della donna, il divario economico tra chi ha tanto e chi troppo poco, il tempo risicato dello stare in famiglia, la banalità nella televisione e nei social.. E chi più ne ha più ne metta. Normalizzare significa non porsi più domande né farsi problemi per qualcosa che accade ma non porta davvero ad un bene, perché non è a servizio dell’individuo né della società. Normalizzare significa “far passare tutto come normale” quando “normale” non lo è! 
Le letture di oggi sembrano dure e difficili ma in realtà rispondono proprio a questo processo che ciclicamente riappare come una serpe silenziosa che si aggira nelle menti e nei cuori di società che diventano disumanizzanti. Così il profeta Abacuc nella prima lettura risuona come la voce di molti di noi oggi che, scandalizzati per quanto sta succedendo, si ribellano e urlano anche contro Dio che sembra si sia assentato un attimo da questo mondo delirante, ed è bellissimo il finale dove, Dio stesso parla promettendo la fine della sofferenza del giusto e giustizia verso l’ingiusto. Ci pensa poi San Paolo nella seconda lettura e Gesù nel Vangelo ad indicarci la strada per realizzare questa profezia. Il primo infatti ricorda che: “Dio non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza. Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro” (2Tm 1,7-8) e a questo fa seguito Gesù con una parabola tremenda e favolosa. Agli apostoli che chiedono più fede ricorda che hanno il potere di spostare una montagna, e per essere credibile racconta dei servi di un padrone che, dopo una giornata di lavoro, ancora tornano a casa e si mettono a servizio. Il linguaggio è quello di quel tempo e suona male alle nostre orecchie. Ma se pensiamo che i servi siamo noi, e in quanto tali siamo “amici” secondo quanto affermato da Gesù in Giovanni 15,15, e il padrone è il Padre che Gesù ci ha presentato come Amore incondizionato e senza fine, allora tutto ha un volto diverso. Siamo chiamati ad essere a servizio di un Amore, a servizio di un Padre che ha a cuore i suoi figli, tutti, indistintamente e sempre. Siamo servi inutili non perché non ha valore ciò che facciamo ma perché lo facciamo per un obiettivo che trascende noi stessi e il nostro personale interesse. Quanto ci chiede Gesù in questa parabola è di trasudare vangelo in ogni azione e in ogni parola della nostra vita, abitati dal Suo amore che diventa una missione in ogni ambiente e in ogni scelta che facciamo. Quello che ci chiede Gesù è di rinnegare l’ipocrisia di una fede racchiusa nel tempo di una celebrazione domenicale o nel fiato usato per dichiarare dei non meglio definiti valori cristiani, spesso strumentalizzati (e quindi snaturati) per dividerci più che per unirci. Quello che ci chiede Gesù è di sentire che, quanto siamo e quanto facciamo, è prezioso per “normalizzare” quegli atteggiamenti di bene che possono risanare le nostre relazioni e il nostro mondo quotidiano. Mi torna in mente uno dei tanti testimoni di questo stile ovvero Martin Luther King, che il 28 Agosto 1963, al termine della marcia su Washington, terminò il suo discorso davanti a 30000 persone dicendo: “e perciò, amici miei, vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io ho sempre davanti a me un sogno”.
Oggi, di fronte alla normalizzazione della brutalità e a tutte le altre normalizzazioni che ci fanno male, le letture ci chiedono di tradurre il Suo Amore incondizionato in un sogno. Un sogno che diventa impegno concreto, che diventa progetto, che diventa vita attraverso la nostra stessa vita. Essere “servi inutili” è il privilegio che spetta a chi si sente amato a tal punto da non poter più accettare il non-amore, in qualsiasi forma esso si manifesti, vicino o lontano, e diventa il luogo credibile della nostra testimonianza di credenti. Pieghiamo le ginocchia e poi alziamo un polverone di bene attraverso la nostra voce e le nostre azioni, perché la profezia trasmessaci da Abacuc ha bisogno anche di noi oggi e delle nostre comunità cristiane.

Ab 1,2-3;2,2-4  Sal 94  2Tm 1,6-8.13-14  Lc 17,5-10

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