Domenica 18 Luglio

Un pomeriggio di questa settimana, mentre ero seduto fuori in uno dei patronati, un bambino si è prodigato in una delle improbabili acrobazie che solo a quell’età senti il desiderio di fare, un po’ per sfida con te stesso, un po’ per quel gusto di divertimento estremo che in molti abbiamo sperimentato, un po’ per il senso del limite e del pericolo che ancora deve maturare. Malgrado l’impegno, l’acrobazia di stare in equilibrio sul bordo di un (per sua fortuna) basso muretto è finita con una preoccupante caduta sull’erba sottostante. La paura per il peggio che poteva accadere, ha lasciato il posto ad un sospiro di sollievo nel vedere che si rialzava. Per lui invece è stato il contrario e mentre noi ci rilassavamo, nei suoi occhi si è acceso il terrore vedendo la mamma a passo lesto andargli incontro. Sarà stato per i tanti occhi puntati addosso, sarà stato perché davvero l’intento della donna da subito era quello (anche se il passo e lo sguardo non lo facevano intendere), al posto dello sculaccione tanto temuto è arrivato un abbraccio “coccoloso” e carico di tenerezza che ha fatto scaturire spontaneo in me e nella persona con cui ero un tenero sorriso. 

Questa vicenda credo rispecchi bene il sentimento che viviamo molto spesso anche noi cristiani: di fronte alle nostre mal fatte (e quante ne so collezionare io, ahimè) ci sentiamo giudicati e tendiamo a scappare da Dio. Sappiamo che è buono e misericordioso, ma il giudizio che diamo a noi stessi e la delusione per la nostra fragilità, ci porta ad allontanarci da Lui, al posto di stare ad aspettare che, quella che pensiamo essere una punizione, si riveli un abbraccio di riconciliazione con noi stessi e, in caso servisse, con Lui. Stessa cosa il Popolo che Gesù ha davanti e definisce “Pecore senza pastore”. Senza pastore non perché Dio non ci sia anche per loro ma perché loro non sono disponibili a Lui. Per paura, perché ancora in fuga da se stessi e dalla verità, perché inconsapevoli della ricchezza del Suo Amore, perché convinti che Egli sia ciò che non è.. Gesù vede un bisogno di essere guidati e prova compassione, quel sentimento che sa scendere al livello del prossimo per risollevarlo ad una condizione migliore. Siamo anche noi un popolo senza pastore spesso: noi come singoli e noi come società. Ogni qualvolta chiudiamo le porte alla Grazia di Dio per noi, perdiamo la possibilità di trasformare la quotidianità della nostra vita in un capolavoro di Grazia. 

Marx, riprendendo una affermazione di Hegel, affermava che “la religione è l’oppio dei popoli” interpretandola come rifugio per consolarsi di ciò che non piace, come luogo dove compiangersi e trastullarsi dentro a dolori o insoddisfazioni, arresi a se stessi e alle situazioni inattese della vita che ci mettono alla prova. In questo brano del Vangelo Gesù invece afferma proprio il contrario: i discepoli sono tornati dalla loro predicazione e dall’opera di liberazione dal male, e raccontano i prodigi che attraverso di loro si sono compiuti, e la folla li segue desiderosa di essere risanata. Non c’è passività, non c’è rassegnazione al dolore o all’infelicità, non c’è “oppio” che aliena dalle proprie frustrazioni e delusioni, anzi. La folla si muove, cerca, chiede, e i discepoli sono strumenti disponibili e umili a questa Grazia che sa compiere miracoli. Se da una parte ci viene ricordato che Dio non castiga ma al contrario accompagna, perdona, ama, conferma, dall’altra ci viene chiesto di essere testimoni di questa relazione vivificante per tutti coloro che si trascinano dentro a storie difficili e attraversano prove pesanti. Siamo noi a poter ricordare a questo mondo, in questo periodo particolare, che non siamo soli, mai, e che Dio non è un castigamatti ma un Padre/Madre che abbraccia, coccola e rilancia a vivere in pienezza la propria Vita. Come il Sole che fedelmente lascia spazio alla magia della notte, come la tavola che si imbandisce per ridare vigore alle nostre forze fisiche (e non solo), come il sonno ci riposa per poter essere presenti alle vicende delle nostre giornate, così torniamo anche noi a Dio per essere poi  inviati da Lui stesso a costruire storie di Vita piene di amore e di senso. Ciclicamente, come ciclicamente tutta la natura si rigenera e avviene, anche noi prendiamoci cura della nostra Fede e spalanchiamo le porte dell’anima a Dio. Non per esserne schiavi ma anzi, per riscoprirci liberi e protagonisti. Bellissimo il Salmo 22: essere di Dio significa avere occhi capaci di meraviglia e un cuore spalancato alla bellezza. Contro ogni male e contro ogni negatività! 

Ger 23,1-6   Sal 22   Ef 2,13-18   Mc 6,30-34

Un commento

  1. Trovo affascinante questo racconto di salvezza che parte da un semplice fatto avvenuto in un giorno e si spalanca all’abbraccio universale di Dio. Ci lasciamo coccolare da lui o siamo più preoccupati di guardare il suo sguardo severo? Grazie per questa bella riflessione

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