Domenica 27 ottobre

Questa domenica c’è un protagonista di eccezione nel Vangelo: Bartimeo, uomo divenuto cieco e nostalgico della possibilità di usare quel senso che colora e dà forma alla vita. A Gesù che gli domanda cosa vuole egli risponde: “che io riabbia la vista” facendoci capire che prima vedeva! Sorte dura da accettare quella di perdere uno dei 5 sensi, perché ci pare di perdere un po’ di noi stessi, della nostra indipendenza ma soprattutto della capacità di gustare la vita. Chi ha sperimentato il Covid19 perdendo il gusto, ricorda bene quanto insignificante fosse diventato il mangiare e quanto ha aspettato tornasse il gusto che permetteva di apprezzare e distinguere ciò che ingeriva. I sensi sono i canali del nostro sperimentare e comunicare con ciò che è altro da noi: parliamo non solo attraverso la bocca ma anche attraverso gli occhi, il tatto, il gusto, l’olfatto. Parliamo e percepiamo la realtà, anche se il più delle volte lo facciamo inconsciamente e senza darci peso. Eppure Bartimeo aveva imparato bene quanto importante fosse “far funzionare” i propri sensi e alla mancanza della vista non si era mai abituato. 
Passa Gesù e la sua voce si fa forte come il dolore e la rabbia per quella menomazione che aveva subito. Lo fa, nonostante tutt’attorno la gente sia indifferente e anzi, infastidita da quel disagio mostrato con tanto rumore. Pare di vederlo ma soprattutto pare di sentirlo Bartimeo, che a bordo strada urla il suo desiderio di incontrare e farsi guarire da Gesù. Il suo volto è quello di ogni uomo e donna che chiedono di esistere dentro una società sempre più veloce e performante. Quella cecità ha il sapore di ogni malattia che rende invisibili, che porta a scomparire o a desiderare di scomparire, che lascia ai margini di una strada troppo frenetica per chi non ha più gambe o fiato e si sente tagliato fuori o si taglia fuori da tutto e tutti per la paura di non farcela. Forse ci siamo stati anche noi al posto di Bartimeo! Non c’è età né condizione sociale che preservi da questo rischio. 
Gesù si ferma, lo fa avvicinare e lo guarisce. Interessante la dinamica: Bartimeo sentendo che Gesù si è accorto di lui e lo convoca, balza in piedi e getta il mantello, unica certezza contro il freddo e le intemperie. Getta la certezza per andare verso la salvezza. Lo fa pieno di entusiasmo e speranza. E Gesù gli chiede, quasi paradossalmente cosa vuole. Bartimeo ha chiaro cosa vuole, è un sogno coltivato per giorni e notti insonni, cercato con tutto se stesso e mai abbandonato, neppure di fronte alla voce esausta di chi gli diceva di abituarsi alla sua condizione di non-vita. Bellissimo tutto questo e un messaggio che arriva dritto ad ognuno oggi: non c’è condizione di disagio e di resa che debba diventare la nostra nuova esistenza. Tutta la scrittura oggi ci dice che siamo figli del Dio che si china su questa umanità per risollevarla, per darle dignità, per renderci capaci di gustare e vivere quanto di più magnifico Lui ha saputo donarci. Non esiste bocca che non debba sorridere come non esistono occhi che non debbano luccicare allo stupore della vita; non esiste naso che non possa sentire il profumo dei cambiamenti come non esistono mani che non possano accarezzare e lavorare ciò che la fantasia di Dio ha generato; e non c’è bocca che non possa gustare e celebrare l’amore di un Dio che, anche nei tranelli più meschini del male, sa tracciare una via di riscatto e di gioia che riporti luce.
Ma non è solo Bartimeo ad essere guarito, bensì anche tutti coloro che per quella strada ci passavo tutti i giorni e per i quali quell’uomo era un povero cieco, quasi parte del paesaggio del loro quotidiano cammino. “Un cieco è cieco.. cosa posso farci?” Forse era questo che si dicevano in cuor loro per acquietare quel sentimento misto tra disagio, senso di colpa per non sapere cosa fare o indifferenza ormai calata dentro ai loro occhi e al cuore. Gesù li guarisce nel momento in cui li rende partecipi della guarigione: ”chiamatelo”. E per chiamare una persona bisogna saperne il nome. Io credo che tutti abbiamo bisogno di questa guarigione: non esistono i poveri ma esiste Nino, Otello, Gianfranco.. non esistono gli immigrati ma esiste Mustafa, Aisha, Ermedin.. non esistono i vecchi ma esiste Mario, Natalia, Luigina.. non esistono i malati o i disabili ma esistono vite uniche e irripetibili che chiedono di essere viste e trattate come tali. Imparare ad incontrare e imparare a chiamare per nome significa imparare a ridare dignità, a far sentire vivi, a condividere un pezzo di storia e a sentirne, anche solo marginalmente, il dolore e la fatica. E questo spesso è sufficiente e tutti possiamo essere strumenti di un Dio che ha uno sguardo d’amore per chiunque stia cercando una luce per esistere. Non mancano le persone bisognose attorno a noi e per questo non mancano le occasioni per essere strumenti di quel Gesù che passa, sente, vede e fa rivivere. 
Oggi sto bene e sono chiamato ad accompagnare ma domani non lo so e se avrò bisogno spero qualcuno mi accompagni da Gesù che è Vita!

Ger 31,7-9   Sal 125   Eb 5,1-6   Mc 10,46-52

2 commenti

  1. “Coraggio! Alzati, ti chiama!” È il motto nello stemma episcopale del nostro vescovo Claudio. E lui certamente ha risposto: una prima volta alla vocazione al sacerdozio, una seconda quando ha dovuto alzarsi dalla sua parrocchia di Porto Mantovano per assumere il peso di una grande diocesi con tutto ciò che questo comporta.

  2. Sentirsi chiamati per nome è molto importante , a volte è come rinascere , e ti aiuta a guardare la vita in modo diverso.

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